"IL CONTRIBUTO DELLA CHIESA PER UNA SOCIETÀ GIUSTA"

D.GUENZI (a cura di). Carità e giustizia per il bene comune, CVS, Roma 2011, pp.185-200


“La società giusta non può essere opera della chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente”(Deus caritas est n.28).
Partiamo da una domanda preliminare: l’influenza della Chiesa sulla società civile costituisce  una minaccia per il pluralismo democratico?
Il focus della discussione non deve essere se  la chiesa debba entrare negli affari pubblici, ma come realizzare forme sagge di impegno politico da parte delle  religioni.
Non solo bisogna difendere la legittimità del contributo della chiesa nel discorso pubblico sul bene comune, ma bisogna riconoscere che, in ragione della tentazione per la società di oggi di una politica di interesse non ristretta dalla compassione  e dimentica dei poveri, il contributo della chiesa apre a visioni più ricche e ampie della società giusta . I suoi  argomenti religiosi possono sostenere l’articolazione di un’idea del bene umano in base alla possibile congruenza tra una visione religiosa della buona vita  e le aspirazioni alla giustizia sociale. 
In tal modo appare interessante il richiamo alle convinzioni religiose per la loro capacità di arricchire il nostro senso di possibilità di vita, di estendere i nostri interessi alle persone e ai luoghi che ignoriamo, e di trasformare la nostra idea di ciò che ci fa felici, mostrandoci modi di vita che la nostra limitata esperienza non può realizzare.  Le questioni culturali più larghe di valore e di significato da una parte e le questioni più specificamente politiche dall’altra si illuminano a vicenda. In questo modo un genuino dibattito pubblico intorno al bene comune può essere generato. Separare la religione dalla sfera pubblica zittisce questo dialogo.
In questo dialogo possiamo cogliere alcuni contributi della chiesa: l’esplicitazione delle ragioni di prossimità nella società complessa, la convergenza tra giustizia e carità o la dimensione politica della carità, l’apporto istituzionale anche quando, come comunità locale, la chiesa è in una posizione di minoranza.

La riscoperta della prossimità nelle sue diverse forme sociali

La missione sociale della chiesa come  evangelizzazione della società (Sollicitudo rei socialis n.41, Centesirnus An­nus n.54, e soprattutto presente nel Compendio, in particolare nei  quattro capitoli iniziali ),  deve misurarsi con alcune tendenze negative della società moderna, quelle che neutralizzano nell'ambito sociale le esigenze della religione, della verità e dell'etica, relegandole all’ambito del privato.
   Il contributo della missione evangelizzatrice della chiesa ad una società giusta va allora pensato in questa prospettiva: riscoprire e realizzare le evidenze etiche raccomandate dalle stesse forme effettive dei rapporti sociali così come si configurano nella società complessa, e che riguardano le ragioni di debito e di prossimità nei confronti dell’altro.
La sfida è soprattutto quella imposta dalla frammentazione dell'universo sociale e dalla correlativa privatizzazione della religione personale; la scelta soggettiva non assume la forma dell'adesione a una tra le molte proposte religiose emergenti dal contesto, dunque dalle tradizioni so­ciali di senso alle quali il singolo attinge i significati radicali del vivere; assume invece la forma della ripresa discriminante di elementi appartenenti a diverse tradizioni religiose, nell'ottica di una sintesi personale di necessità “creativa”.  Sintesi che dissolve ogni univocità delle singole tradizioni nelle emozioni soggettive . Tali emozioni cercano risorse per rappresentarsi, senza confrontarsi con le questioni oggettive poste al singolo dai rapporti pratici concreti, dunque dai rapporti morali.
Questa situazione culturale  esige che la predicazione cristiana riconduca il singolo ai luoghi veri nei quali si decide della sua libertà, luoghi nascosti ai suoi occhi dagli effetti omologanti della cultura pubblica. Il rapporto pastorale procura consistenti opportunità di consuetudine con la vita «personale» dei singoli e con i loro problemi: il contributo della chiesa al bene comune riguarda l'agire quale determinazione di sé da parte del soggetto, e non solo quale determinazione di un'etica riduttivamente intesa come norma imposta all'agire in forza delle ragioni del rapporto sociale.
Il sequestro della coscienza «privata» dalle forme “pubbliche" del vivere e del comunicare induce rappresentazioni del bene dell'uomo riduttivamente sociali, che impegnano la decisione collettiva, e non invece la libertà del singolo. Finché persista di fatto un tale sequestro, la missione della chiesa dell'annuncio del vangelo di Dio, e quindi dell'invito alla conversione e alla fede, apparirà per un lato impertinente, per altro lato ripetitiva e superflua in quanto ripetizione dei luoghi comuni  quale dignità della persona, diritti dell'uomo, pace, libertà e giustizia, tutela del creato, e simili.
Il contributo della chiesa, attraverso un’interpretazione critica,  porta alla luce lo spazio aperto alla libertà del singolo nelle diverse forme del vivere sociale,  e mostra come ogni figura di rapporto umano realizzi, sia pure con modalità assai diverse, la forma generale della prossimità. “Al di là dell’apparenza esteriore dell’altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso le organizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica” (Deus caritas est n.18).
La missione dell’evangelizzazione valorizza l’impegno morale e sociale appunto quale fedeltà al patto che ci lega da sempre all’altro prossimo. Non è la mia iniziativa che crea la prossimità: essa solo la riconosce come un dato di fatto che precede l’iniziativa stessa. Per intendere la qualità della missione evangelizzatrice della chiesa è indispensabile  anzitutto riconoscere la qualità di quel patto come dono promettente, che precede la libertà e chiama la libertà ad una risposta grata.
Esplicitando queste dimensioni delle relazioni sociali, la chiesa  riafferma la possibilità antro­pologica di un legame sociale che non è mai garantito e che è costantemente in evoluzione . Legame che precede ogni convenzione e che rappresenta la base del riconoscimento che il prossimo è un dono piuttosto che una minaccia .
 Questa prospettiva cristiana si oppone al punto di vista della cultura pubblica dominante del nostro tempo, la quale riduce la figura del rapporto libero a quella del contratto, del vincolo dunque realizzato ad opera della libertà personale. La chiesa ha da essere luogo di comunicazione abituale a proposito della  vita quotidiana e delle mille difficoltà che propone la realizzazione effettiva di un rapporto di prossimità e di servizio reciproco, che sigilla la verità del vincolo fraterno anche nelle istituzioni. Proprio perché il vivere sociale  non è soltanto una necessità e una legge: è invece una possibilità grata che si dischiude sorprendentemente nella vita e che va accolta come una promessa. Dare parola a questa esperienza vuol dire dare nome al volto promettente della vita sociale. Vuol dire predisporre le condizioni perchè possa essere dato un nome a Dio stesso, a procedere dai segni evidenti della sua presenza e della sua opera, segni che soli rendono possibile e urgente la passione dell’uomo per la causa della vita propria e dei propri fratelli.
           Aprendo un diverso orizzonte ermeneutico, potente abbastanza per spezzare lo stretto orizzonte del tempo  in cui noi viviamo, la missione della chiesa rende possibile smascherare interpretazioni ideologiche o tendenziose (disconnessione tra coscienza personale e coscienza civile, muri mentali e la biforcazione del mondo in termini di scontro di civiltà…), che fioriscono dal dominio della razionalità scientifico-strumentale.
Utile sarà la creazione da parte della chiesa di osservatori dei fenomeni politici e so­ciali per incrementare la capacità di discernimento dei cosiddetti valori. Impostare il proprio ruolo nella società in questa forma, permetterà alla chiesa di trovare ina­spettate convergenze collaborative. Soprattutto il confronto tra coscienza cristiana e coscienza civile non rimarrà soltanto retorico, e comunque impro­duttivo: esso non si produrrà soltanto nella forma di grandi enunciazioni di principio, ma scenderà sul campo della concreta esperienza quotidiana dell'uomo, quella esperienza morale che le forme egemoni della cultura pubblica contemporanea sembrano condannare appunto alla clandestinità della vita soltanto «privata» .
La chiesa partecipa così ad alimentare un consenso dall’interno dell’esperienza sociale,  mirando alla comune sensibilità umana .  E manifesta la sua fiducia che questo mondo porti in sè le primizie della Buona Novella e che le pratiche cristiane  possano essere espresse in modo che siano intelleggibili ad ogni persona ragionevole, saldando fede e ragione nell’annunzio della specificità del messaggio cristiano nella società .
Si tratta allora di esercitarsi a elaborare in proposte di cittadinanza il patrimonio identitario della religione cristiana. È questa una operazione pastorale-cul­turale di tipo squisitamente laicale (CDSC n.83), che si preoccupa di pren­dere in considerazione, in forma di ricomprensione, le parzia­lità e anche le distorsioni che varie posizioni assumono nella società . Per essere persuasiva questa impresa deve essere radicata nell’esperienza, nella storia e nella cultura. È una forma di prudenza e di sapienza pratica, che fa scoprire delle correlazioni tra la visione del Regno di Dio e la forma dell’esistenza politico-sociale.
Mostra come lo stabilimento di una società veramente fraterna richieda tutta la forza misteriosa della risurrezione, per vincere il “peccato sociale” e il male radicale che vizia i rapporti umani (Reconciliatio et Paenitentia n.16). Chi se non Gesù può insegnare il perdono e la riconciliazione, essenziali per la pace e per la concordia sociale? Le società umane non troveranno mai in sé stesse le forze necessarie per l’autoredenzione. Gesù è il solo redentore delle persone e di tutto ciò che è umano. È al livello radicale della redenzione delle persone e delle società che opera il messaggio sociale del Vangelo, “il quale dà il loro vero significato ai necessari sforzi di liberazione d’ordine economico, sociale e politico e impedisce loro di naufragare in nuove forme di schiavitù” (Libertatis Conscientia n.55).

La responsabilità politica della carità cristiana.
La missione evangelizzatrice della chiesa ha per oggetto la carità in quanto testimonianza dell’amore di Dio verso gli uomini. E sottolinea  la possibilità di declinare la stessa logica del dono in forme non occasionali, facendone una componente strutturale del proprio stile di vita, e della pratica di impegno per la giustizia .   
 L'effettiva realizzazione dell’ apporto della carità ai rapporti sociali dipende per altro non soltanto dalla qualità morale delle intenzioni del soggetto:  dipende anche dall'attitudine della coscienza cristiana a riconoscere quelle ragioni di prossimità che, pure ulteriori rispetto alla misura del giusto definita dalle forme dell'oggettivazione sociale, sono effettivamente iscritte nelle modalità storiche dei rapporti di volta in volta presi in considerazione. Si tratta dell’altro che, se nella giustizia è il ciascuno, come viene significato dall'adagio latino: suum cuique tribuere, a ciascuno il suo, nella carità sociale viene colto nell’originario  rapporto di prossimità,   pur conservando la giusta distanza, cioè nella mediazione istituzionale. Se le cose stanno in questi termini, è  agevole evidenziare che la giustizia converge con l’amore e contribuisce all’esplicitazione della prossimità non dispotica di agape, alla definizione del senso dell'umano come irrinunciabile fraternità e all’autorevolezza normativa della cura per l'umano socialmente già condiviso, prima che indirizzare i calcoli di quello individualmente già distribuito.
In questa visione della giustizia che converge con l’amore la persona non viene rispettata semplicemente nella sua autono­mia, ma è riconosciuta nella sua prossimità come un bene, e dunque viene coltivato il rapporto fraterno con essa.
La pratica cristiana del rapporto sociale o carità sociale avvicina in tal senso gli uomini tra di loro e non è limitata alla cura del bisognoso, anche se il tema della scelta dei poveri assume un significato peculiare.
 La carità non si sottrae all'ordine degli scambi economici né all'ordine giuridi­co, ma permea quel piano del riconoscimento che si esprime attraverso la lotta e il conflitto, e in cui il ciascuno si stempera nell’altro anonimo. Essa è un elemento spesso presente nelle relazioni interpersonalì, ma anche una componente ineliminabile di ogni struttura sociale, che in essa viene trascesa e assieme ricondotta alla pienezza del suo telos.
Il fatto è che nella nostra società la logica del dono occupa gli interstizi lasciati a­perti dall'amministrazione giuridica delle relazioni formali, sempre più ispirata dal­l'anonimato della (presunta) ra­zionalità scientifica ed economica.
 Oggi più che mai occorre che il discorso cristiano sulla carità esca dal riferimento esclusivo o comunque privilegiato alla figura del povero, e investa in­vece la cultura e la società.
Alcune voci alternative del pensiero contemporaneo, come Levinas e  Girard , alla società segnata dalla dominanza dei rapporti mercan­tili oppongono l'alternativa radicale e utopica di rapporti umani vissuti nel segno del dono, della gratuità, o espressa­mente dell'amore. La loro apologia risponde alla crisi degli ideali moderni di emancipazione dell'individuo dalla gabbia dei rapporti socia­li. L'imperativo proposto dall'amore (che nel caso di Girard è espressamente quello cristiano) sarebbe semplicemente al­ternativo rispetto a quello proposto dalle leggi del rapporto sociale, dunque dall'ethos e in generale dalla cultura, che sarebbe per se stessa forma dell'inganno; alla falsità sociale si oppone la verità indicibile dell'amore.
Tale tendenza allarga la divaricazione fra il regime della carità e del dono (inteso come momento sentimentale e marginale) e quello dello scambio (campo della giustizia), e in­cide in molti modi anche sull'immaginario etico e religioso, incoraggiando a fanta­sticare un «puro dono», estraneo ad ogni forma di scambio e di legame .
     In una prospettiva prevalentemente pratica, e com­prensibile nella depressione utilitari­stica delle società occidentali, emerge una seconda via alternativa che in definitiva emargina ancora la carità dai rapporti sociali del mercato e della politica: si sa­luta il volontariato come «anima» di un profilo alto della cittadinanza politica, e la beneficenza come «risorsa» sotto certi a­spetti anche economicamente interessante da organizzare.
L'istituzionalizzazione di un regime paral­lelo della donazione, assorbita in una dimensione sociale «terza» (economi­camente non competitiva e politicamente non generalizzabile), consente anche al si­stema globale di sviluppare indisturbato lo­giche perfettamente esterne alle forme «eti­che» e «umanitarie» delle relazioni e degli scambi . In questo quadro, anche se organiz­zata imprenditorialmente e riconosciuta isti­tuzionalmente, la carità continuerà ine­sorabilmente a valere - culturalmente e so­cialmente - come dimensione debole del moderno legame civile. Il suo poten­ziamento sistemico, in questo quadro cultu­rale, non muterà la sostanziale deriva del suo appiattimento sull'immagine debole della beneficenza. Regolamen­tazione e finanziamento non cancelleranno la sua estraneità dai rapporti politici, econo­mici, scientifici e professionali: che conti­nuano ad essere guidati da altre logiche impermeabili e separate dalla coscienza morale.
     La responsabilità politica della carità evidenzia che non si può chiedere all’impresa for profit di essere un istituto di beneficenza, ma non si può nemmeno tollerare che il capitalismo, che le corrisponde, si esima dai propri doveri di solidarietà e di giustizia, scaricandone gli oneri sul no profit, come peraltro intenderebbero fare alcuni imprenditori preoccupati solo dell’incremento del profitto  e meno dei loro obblighi sociali.
 Occorre che la carità assuma dimensioni politiche perché l’ordinamento istituzionale serva in un modo nuovo le persone. Il terzo settore dà il suo contributo per la crescita della società civile, ma non può essere  concepito come compensazione alle istituzioni esistenti, che svuotano quelle istanze etiche a cui fanno appello .
La solidarietà o carità sociale, che è la forma più determinata che assumono i valori fondamentali come la fratellanza, deve  essere fatta valere come un’esigenza obiettiva e globale, e non a latere o ai margini dei rapporti sociali, che sarebbero solo funzionali.
Una via alternativa, proposta da Angelini, alle varie forme di marginalizzazione dalla carità,   “passa attraverso la considerazione del nesso originario che lega amore cristiano e quelle forme elementari della prossimità umana” . Una riflessione che chiarisce l'apporto in­dispensabile di tali esperienze primarie (rapporti uomo donna, genitori figli, tra generazioni in genere, tra fratelli) alla comprensione dell'agape, che non può essere limitata dal riferimento esclusivo  alla figura del povero. Essa  investe in­vece le forme originarie e universali della prossimità umana, forme che alimentano la cultura e infine le istituzioni. Sono quelle relazioni di riconoscimento reciproco, quell'e­lemento universale presente in ogni comunità, quelle pratiche concrete dalle quali dipendono le regole sociali, vale a dire la solidarietà che ci lega poten­zialmente a tutti gli altri uomini.
Il prossimo, che Gesù comanda di amare, non è certo solo e prima di tutto quello che diventa a me vicino in forza del suo bisogno. La prima figura del prossimo è invece quella dell'altro simile a me e sorprendente­mente vicino.
Le forme nelle quali oggi si dice e si celebra la carità sono dunque troppo precipitosamente ricondotte alla figura della cura per il bisognoso. In tal senso esse dispon­gono le condizioni per un'inesorabile marginalità politica del­la carità stessa, che così non pare in alcun modo capace di dare rinnovata figura alla ge­neralità dei rapporti umani. Essa appare in tal senso radical­mente impolitica; dunque incapace di alimentare una distanza critica nei confronti del costume effettivo, la quale consenta poi una sua rigenerazione .
La carità va pensata come una modalità “politica” che immette in ogni rapporto umano qualcosa che in se stesso è invisibile e già donato (anche al donatore). E che si rende parzialmente  visibile per segni e simboli. Questo stile abita i legami effettivi, non si limita ad edificare un mondo a parte: abita i legami effettivi della competenza, dello scambio, della professionalità, della leadership: non solo quelli che – come provocazione necessaria eppure simbolica - si costituiscono chiamandosi fuori dallo Stato e dal mercato.
In questa prospettiva la carità non ci chiama fuori dalle relazioni istituite e comuni, ma si fa da tra­mite persuasivo fra la relazione comunitaria e il vincolo sociale: senza requisirlo in proprio, senza abbandonarlo al suo destino. Si sottrae così la sfera del­l'agape cristiana alla deriva romantica dei sentimenti caritatevoli e delle relazioni amorose. E si rende possibile il potenziamento dell'economia, della politica e dell'etica in una circolarità degli input rispettivi che non pretende un'ingenua armonia prestabilita, ma piuttosto auspica una logica di tensione tra sfere autonome e non separate, che sappiano interpretare una comune finalità di incremento dell’umano nei termini dei loro lin­guaggi rispettivi e secondo una traducibilità vicendevole, ciascuno preso nelle proprie concrete procedure cognitive e operative, e insieme aper­to all'intreccio consapevole con gli altri ambiti. 
Ci si sottrae così alla polarizza­zione massimalistica della carità sul registro di un sentimento d'amore al tempo stesso oblativo e fusionale, deriva romantica che svuota quello spirito di ogni rappresentazione concreta del suo esercizio. Esercizio che viene sottratto così alla sua funzione provocatoria in ordine alla ricerca della giustizia animata dalla agape in tutti i le­gami interpersonali e sociali. E viene invece ricondotto al più limitato profilo di marginale esercizio compensativo della sua irrimediabile e­straneità alla vita civile: l’istanza della carità passa così lateralmente a fianco delle istituzioni, promuovendo forme di solidarietà sociale non politiche e senza affrontare la determinazione del bene comune come società giusta.
 Occorre introdurre la cultura dell'analogia della oblatività so­lidale e la differenziazione legittima della libera corrispondenza, in luogo dell'univo­cità dello scambio equivalente e del massi­malismo del dono a perdere. Questa cultura dell’analogia rappresenta un reale approfondimento delle virtualità eti­che della carità.
 Il sistema sociale implica, in termini di qualità etica e non solo di compromesso legale, una ricca articolazione delle modalità di donazione e di scambio. In questo senso parliamo ap­punto di reciprocità limitata, di analogie relazionali e di differenziazioni legittime: esse infatti concorrono all'armonia etica dell'in­sieme sociale e allo sviluppo differenziato che arricchisce la qualità dei legami .
      L'approfondimento richiesto dalla carità sociale comporta che si arrivi a mostrare addirittura che nel­lo scambio anonimo e contrattuale si rea­lizza un prezioso antidoto etico a quelle  poten­zialità socialmente prevaricatrici del siste­ma relazionale e oblativo della beneficienza.
In tale ottica, la carità ecclesiale evidenzia che la responsabilità propria delle istituzioni politiche non è da intendere esclusivamente o principalmente come rivolta all’obiettivo di provvedere materialmente alle necessità dei più svantaggiati; ma è da cogliere come responsabilità rivolta all’incentivazione e alla suscitazione di forme del rapporto civile propizie al realizzarsi dell’evidenza, presso la consapevolezza dei singoli soggetti sociali, delle ragioni rispettive di debito e di prossimità nei confronti dell’altro .
 Anche in questi termini politici si realizza il compito della carità che è quello di  provvedere a che si mostri una prossimità all'altro - e dunque si apra la speranza di un bene e di un futuro buono, che è poi in definitiva la cura del Padre (CDSC n.182-184; Deus caritas est n.16ssg). 
Si congiungono così i legami sociali degni dell’uomo con la stessa logica di dono che pervade Dio nel­la sua espressione trinitaria di Padre, di Logos (Figlio) e di Spirito .

        Un contributo a livello istituzionale

  La comunità dei credenti può contribuire all’arricchimento della vita pubblica anche a livello istituzionale. Le chiese come tutte le altre associazioni rendono ricco il tessuto della società civile.
La visione pluralistica della vita pubblica, caratteristica dell’insegnamento sociale della chiesa, considera che nessuna singola forma di comunità umana è capace di incarnare tutto il bene umano. E incoraggia la partecipazione attiva nelle molteplici associazioni.  È evidente che le comunità religiose sostengono la partecipazione alla vita pubblica  dei loro membri. La religione va vista come un potenziale agente che contribuisce  ad una libertà pubblica più grande e alla crescita del capitale sociale quale prerequisito del bene comune.
L’effettivo governo democratico dipende dalla virtù civica e dai legami vigorosi della società civile. Come mostrano ricerche sul campo, l’acquisizione di abilità di attiva partecipazione civile è significativamente correlata con l’attivo impegno in una chiesa . La partecipazione comune alla vita ecclesiale aiuta ad apprenderle e le chiese sostengono lo sviluppo di queste abilità  in un modo che è indipendente dallo status socioeconomico dei soggetti.
Lo sviluppo di abilità rilevanti per la partecipazione politica è accessibile in modalità più ugualitarie per quelli che sono attivi nelle chiese. Le disuguaglianze in altri fattori, che incoraggiano l’attivismo politico, tali come la famiglia o l’educazione o il lavoro ben remunerato, conducono a livelli disuguali di partecipazione politica. Lo spazio di uguale accesso alle opportunità di imparare abilità civiche è la comunità ecclesiale.
     Per quanto riguarda lo specifico impegno nella politica è indubbio che nel sociale il fine è più ravvicinato e omogeneo ai singoli valori di riferimento, esige quindi un minor grado di mediazione per essere perseguito, e conduce a risultati più rapidi e efficaci. Queste ragioni spingono i membri di comunità forti (come, per esempio, i cristiani) a inca­nalarsi preferibilmente lungo la linea di maggior pendenza valoriale del sociale, dove possono tradurre più immediatamen­te la ricchezza della loro cultura.  Il rischio è di rimuovere l'impegno politico come indifferente (se non addirittura nocivo) alla costruzione del Regno e di trasformare l'atto finale della decisione politica in una pura e semplice tecnica legislativa di scelte decise altrove o in semplice garante formale dei rapporti sociali. La chiesa mette in guardia da questa tentazione, che espropria della sua va­lenza etica la politica, dimenticando che essa è uno dei livelli dell’ impegno sociale. E’ uno dei livelli più complessi e più mediati, dove non solo è richiesta una visione dell’uomo illuminata dalla fede e la graduazione di questa visione in rapporto al tempo e alla libertà, ma anche la commisurazione di essa con il patrimonio di verità e di libertà degli altri, se si vuole costruire una comunità di libertà.
         Rimane vero che il ruolo attivo della chiesa nella vita pubblica va pensato nella società civile piuttosto che attraverso il controllo religioso dello stato. Il contributo della chiesa si affida al discorso civile sul significato e la speranza della nostra esistenza comune piuttosto che all’imposizione di tali significati e speranze attraverso il potere dello stato, la burocrazia amministrativa o il mercato. Ciò a motivo dell’importanza della società civile come la sfera che genera significato e che dovrebbe esercitare il controllo cruciale del potere  crescente degli stati, delle burocrazie e dei mercati .
L’influenza della religione sullo stato sarà indiretta attraverso l’influenza sulle molteplici comunità  e istituzioni della società civile e attraverso l’autocomprensione culturale dei cittadini: le discussioni informali sui problemi politici, le votazioni e le campagne politiche, le lobbies e l’opposizione in certi casi .
 La resistenza alle restrizioni del ruolo pubblico della religione è stata la maggior forza per la democratizzazione dei regimi autoritari. Sia nei paesi dell’est che in America Latina e in Asia le religioni contribuirono a rafforzare la società come spazio libero dal controllo autoritario dell’apparato dello stato.
La Chiesa rimane una forza culturale che può agire come un veicolo di cambiamento o di conservazione: una risorsa culturale più che un’istituzione sociale.

Il contributo della chiesa locale da una posizione di minoranza
 
 La testimonianza sociale della comunità locale ha bisogno di un’attenta considerazione . Per creare consenso sulla sua visione sociale, la chiesa deve vigilare sulla forma della sua vita comunitaria. Sarà incapace di realizzare la sua missione sociale se non rimane una comunità viva, perché è nella chiesa che le persone sono moralmente formate.
Nelle comunità ecclesiali diverse sono le vocazioni, come diversi sono i carismi. L’opzione di fede del cristiano non distrugge la sua personalità umana, ma la coinvolge tutta: c’è il creatore e realizzatore, l’ideologo, il profeta, il credente ordinario. La chiesa locale deve I) saper integrare al suo interno questi tipi diversi di vocazioni, che sono tutte legittime ed hanno un compito preciso; II) stimolare alla responsabilità personale senza lasciarsi strumentalizzare da atteggiamenti puerili, che aspettano la soluzione dei problemi dall’alto (GS n.43), e III) rimanere obiettiva, cioè ascoltare gli interessi di tutti, non ignorare la complessità dei problemi e prendere in considerazione gli sforzi intrapresi .
L’eucaristia riunisce degli uomini che hanno validi motivi per combattersi In ragione delle loro diversità: mostrare loro che questi conflitti devono svestirsi, in Gesù Cristo, di ogni inimicizia, è un’eccellente preparazione alla vita sociale; è tutt’altro che rimanervi estranei, ma   è parteciparvi dall’interno in un altro modo.
Le regole comunionali dell'eucaristia possono informare la metodologia della cittadinanza, senza cancellare ma relativizzando l'ineludibile componente di conflitto. L'eucaristia dice che il fine dell'uomo è una comunità d'amore di tutti verso tutti, comunità che deve crescere, almeno parzialmente, già nel tempo e ciò è possibile grazie al modo in cui ciascuno gestisce il conflitto, mantenendo un grado d'amore nella dinamica del conflitto stesso: non solo col comportamento tollerante, ma soprattutto cercando di far emergere quei valori che accomunano i diversi, chiedendo a tutti di moderare - attraverso le regole della reciprocità - le proprie richieste particolari, in modo da far crescere tutta la città e non solo una sua parte, in vista della massima concordia etica possibile nel tempo .
Proprio a partire dalla comunità eucaristica che indica il bene umano come comunità fraterna e libera, riconoscibile sul piano pratico, cioè praticabile anche in un contesto non religioso (SRS n.42), la chiesa suggerisce indicazioni  che mirano ad un bene comune irriducibile alle semplici condizioni materiali di vita; tende a favorire  quelle condizioni di relazioni umane e di solidarietà che potranno stimolare una qualità più umana sul piano civile. Il dinamismo della carità eucaristica stimolerà quella sapienza politica e quella carica morale, che si concretizzano nella lotta per il rispetto della vita umana (Deus caritas est n.32ssg.).
La comunione eucaristica, che attualizza l’amore smisurato e “fine alla fine” del Signore, rappresenta un antidoto potente contro l’imborghesimento e l’omologazione dei credenti, e uno stimolo per la ricerca di mediazioni culturali e politiche dei valori forti. Perchè i valori forti possono perfettamente convivere con le esigenze della mediazione, con il responsabile calcolo del possibile, con l’umile pazienza di approntare i mezzi serventi i fini o valori che è bene si preservino forti. Pena lo smarrire la peculiarità del cristianesimo e forse precisamente ciò che gli uomini e la società del nostro tempo gli domandano, pure se ciò comportasse di andare controcorrente. L’incompiutezza storica non è tragica, ma è vissuta come cammino; l’uomo è viator. L’impegno civile e politico del cristiano è cifra del carattere sociale e  fraterno del cammino storico  dell’uomo . Cammino storico in cui la volontà di giustizia sociale realizzabile dall’opera dell'uomo è volontà “obbediente”, non volontà eteronoma ma volontà che è riconoscente per il dono che l’ha preceduta e che accetta di affidarsi all’Altro quanto alla definitiva salvezza di ciò che è vissuto come limitato.
La fede in Dio non incoraggia la disperazione e tiene aperto uno spazio per l’attesa di una società organizzata in modo diverso.
  Anche da una posizione di minoranza una comunità ecclesiale è capace di mantenere una forte posizione negoziale con gli altri gruppi, la cui identità sia determinata solo da interessi ideologici o di gruppo. Ha i mezzi culturali e normativi per fare quel negoziato  costruttivo e onesto, e la coesione interna per mantenere i suoi leaders responsabili e il suo negoziato realistico nei fini. Una comunità di fede differisce dai gruppi di pressione: senza negare un elemento  di autointeresse, porta avanti dei fini sociali che sono negli interessi di tutti. Questo è visibile nell’impegno della difesa delle libertà civili.
La comunità ecclesiale vede gli stessi fatti in modo diverso da chi non vede alternative al suo mondo presente. Ricordare che in ogni battaglia c’è un altro lato rispetto a quello dei vincitori e talvolta ci sono più persone e importanti cause dall’altro lato, porta a sostenere una diversa comprensione di come si vuole aiutare la storia a cambiare. E tiene viva la consapevolezza che le cose saranno viste in modo inadeguato da quelli che leggono gli eventi da una posizione di controllo o di ricerca di controllo.
La comunità ecclesiale, anche dove è un gruppo minoritario con nessuna possibilità immediata di contribuire al modo di condurre le cose, può con il suo dissenso accrescere la sensibilità della comunità civile su alcuni problemi in modo che le idee che sono irrealistiche per il presente possono diventare credibili nel futuro . Può anche esercitare creatività pionieristica in posti dove nessuno è minacciato nei suoi interessi e attirare gradualmente l’attenzione su alcuni bisogni sociali per cui sarebbe stato impossibile una soluzione imposta. Un esempio sono i servizi offerti da gruppi minoritari alle vittime e ai criminali. La presenza di una posizione molto diversa, anche se non è un modello da imporsi come politica ufficiale della maggioranza, cambia però lo spettro totale delle posizioni e muove il punto di equilibrio del sistema.
Una soluzione che non è giustificata su motivi di efficienza calcolabile si manifesta a lungo termine più efficiente di quella che è oggetto di un calcolo costo-benefici in ogni momento. La chiesa non rifiuta il calcolo dell’efficienza, perché esso ha una rilevanza etica, e si impegna non contro ma per un’utilità larga e a lungo termine. Ed è pronta in alcuni casi a porre chiari obblighi morali all’utilità a corto termine.
La chiesa come comunità di libertà diventa l’enunciazione della costituzione di uno spazio-tempo, dove l’insieme dei gesti di prossimità verso l’altro è rimesso in prospettiva, riaffermato non come uno sgabello per trascendere queste relazioni ma per segnare l’importanza e il carattere  insuperabile di essere stati creati insieme, in vista di gioire insieme di essere inclinati verso Dio.

GIANNI MANZONE


Le convinzioni religiose vertono su tutta la vita umana e non su un piccolo compartimento di essa. La religione privata è teologicamente autocontradditoria Le alternative sono il ruolo civile della religione nella vita pubblica o il secolarismo. Rorty sceglie il secondo mentre Rawls cerca di evitare la scelta, ma l’esperienza passata e presente mostra che non è possibile.

I quattro capitoli iniziali del CDSC conducono gradualmente dalla riscoperta del “disegno di amore di Dio per l'umanità, compiuto in Cristo" alla missione evangelizzatrice, includente l'ambito sociale, che la Chiesa è di conseguenza chiamata a svolgere a favore del­l'uomo e della sua crescita integrale.

Questo profilo eretico della religione è spesso apprezzato come una positiva opportunità; l'attesa espressa da P. L. Berger è che per tale via possa prodursi la libertà della religione, e insieme un fecondo confronto tra diverse tradizioni religiose; il confronto consen­tirà finalmente che prenda forma la società globale del futuro (P.L. BERGER, L'imperativo eretico. Possibilità contemporanee di affermazione religiosa , Elle Di Ci, Leumann (TO) 1987).

Un’espansione di queste possibilità per l’autotrascendenza e per la creazione di nuovi legami di relazioni e solidarietà è un compito morale e spirituale. L’io è inerentemente relazionale e acquista profondità e solidità solo andando oltre se stesso nella solidarietà e comunità.

E questo senza tendere verso piccole e rassicuranti comunità che pongano gli individui al riparo dal rischio, e senza farsi  complice di ireniche ideologie cosmopolitiche. Si instaurano forme reticolari di legame che non rimandano nè a regole giuridiche nè a un dover essere morale, ma al riconoscimento di una mancanza che riattiva il desiderio di appartenenza e lo traduce in atti concreti, persona­lizzati, attenti alla differenza e all'unicità dell'altro (E.PULCINI, L’individuo senza passioni, Bollati B. Torino 2001, p.225).

A.BERTULETTI, “L’Europa e il Cristianesimo, fede e modernità “ in AA.VV., Il caso Europa, Glossa, Milano 1991, p.54-78

È possibile così portare in una mutua correlazione critica le convinzioni radicate nella Bibbia e nella tradizione cristiana con le comprensioni basate sull’esperienza umana comune e sulla riflessione ragionata di questa esperienza.  

Il Concilio Vaticano II approfondì la comprensione della missione sociale della chiesa in riferimento al problema della relazione chiesa stato e alla sua soluzione in favore della libertà religiosa (DH). Oggi  la relazione della chiesa ad una società pluralistica continua ad essere bisognosa di chiarificazione.
    Negli anni ‘50 i difensori di una posizione politica della chiesa si appellarono come motivazione al fatto che la chiesa possiede la vera visione della natura e del destino dell’umanità e del cosmo, visione che dovrebbe essere la base di tutta la vita sociale. Questo approccio a livello teologico è conosciuto come integralismo: sottolinea l’unità della religione, della vita quotidiana e della politica. Manifesta un potente istinto a vedere tutte le cose umane come mediazioni potenziali della presenza divina.
    Si tratta di un istinto buono ma può divenire perverso quando viene interpretato per significare che tutta la conoscenza può essere ridotta alla teologia o che tutte le istituzioni sociali dovrebbero essere estensione della chiesa. Può essere presente a sinistra e a destra.

“Lo Stato appartiene anche ai cristiani, non tanto perché devono plasmarlo a loro immagine, ma soprattutto perché devono farsi carico del suo lento miglioramento”( L.PIZZOLATO-F.PIZZOLATO, Invito alla politica, Vita e Pensiero, Milano 2002, p. 76).

Libertà cristiana e liberazione n.81

R.GIRARD, Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983, E. LEVINAS, Totalità r infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaka Book, Milano 1980.

Che cos'è un dono d'amore, si domanda Sequeri, senza speranza di corrispondenza, senza la soffe­renza del rifiuto, senza l'attaccamento alla qualità del legame, senza la dignità dello scambio e della reciprocità, senza la dispo­nibilità a mettere in gioco i propri convin­cimenti a riguardo della verità, dellagiusti­zia, della credibilità in cui «si decide» di noi e dei nostri affetti più cari? E pensabile un dono d'amore la cui purezza tende all'i­nesistenza dello scambio e all'irrilevanza del legame? (P. SEQUERI, “Dono verticale e orizzontale: fra teologia, filosofia e anh-opologia”, in G. GASPARINI (a cura di), Il  dono. Tra etica e scienze sociali, Edizioni Lavoro, Roma 1999,  p.32…)

Ibid., p.123ssg.

Sembra avvertire il problema anche Hondrich. Contro l'elementare geometria sociale habermasiana, con la sua tripartizione dei media di integrazione sociale in potere, denaro e solidarietà, Hondrich colloca la risor­sa solidarietà non a fianco delle relazioni di potere, di mer­cato e comunitarie, ma tra di esse, nei pori di una società razionalizzata e complessa. Questo, secondo l’autore, vuol dire ridimensio­nare il suo peso a livello sistemico, ma non sottovalutarne l'importanza in una prospettiva di teoria dell'azione: la dispersione della risorsa solidarietà segnala una metamorfosi da forme di soggettività forte, istituzio­nalizzata, collettiva in forme di soggettività debole, infor­male, di nicchia (K.O.HONDRICH, Der Neue Mensch, Suhrkamp, Frankfurt 2001).

G.ANGELINI, Eros e Agape. Oltre l’atternativa, Glossa, Milano 2007., p.162

La politica infatti non può essere intesa solo come la sfera dei rapporti umani connessi all'istituzio­ne del potere legittimo; deve invece essere intesa più radical­mente come il profilo per il quale in ogni rapporto umano è in gioco il rapporto con tutti.

L'ordine delle relazioni implica giustificate gerarchie delle relazioni. Il contraccambio del dono per es. implica giustificate proporzioni, proprio in ordine alla salvaguardia della eticità delle relazioni (respingere un dono sproporzio­nato, rifiutare una regalìa ricattatoria, sono limitazioni della donazione che vanno con­siderate eticamente doverose).

A questo scopo può contribuire anche, ma non solo, il settore non profit.

P.CODA, “Carità e politica. Sintesi teologica e indicazioni operative” in AA.VV., Carità e politica, EDB, Bologna 1990, pp.431-449; B.FORTE, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, EP, Roma 1985. La carità deve emergere come una di­mensione e indicazione fondamentali non solo nel senso della verticalità (da Dio agli uomini) ma anche dell'orizzontalità (dal­l'uomo all'uomo),

GERMAN BISHOPS CONFERENCE, Social Capital 2001

Nell’America Latina e nell’Europa orientale questo è stato il ruolo della chiesa.

Il paradigma delle guerre di religione oscura questi modi in cui le chiese possono servire il bene comune.

K. JERSILD, Making moral decisions, Augusburg Fortress, Minneapolis 1998

D.DORR, “A spirituality of Justice” in AA.VV., Turning Point, Rowett, Adelaide 1991, p.59-81
R.A.MCCORMICK, “The social responsibility of the Christian” in Blueprint for Social Justice 3(1998)1-7

L.PIZZOLATO,”Cittadinanza e comunione” in Rivista del Clero Italiano 1(2001)27-35.

Si tratta di un’etica della finitudine, capace della pazienza richiesta dal compito di trasformare strutturalmente situazioni e pratiche. E la capacità di sopportare questo disagio è il segno di una posizione che è vero coraggio etico.

Un segno o frutto della creatività dello spirito è la genuina innovazione e paradosso nei modi in cui uno impara a vedere la realtà oltre il realismo monolineare del sistema stabilito. Impara ad avere fiducia nel potere della debolezza di fronte ai  fatti che rendono deboli.

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